I principi della Regola

La Regola di Sant’Agostino
– I principi –

Cfr. Opera Omnia di S. Agostino, NBA Vol. VII/2

Obiettivo della vita consacrata agostiniana:

raggiungere la perfezione della carità attraverso l’imitazione della vita evangelica della prima comunità cristiana di Gerusalemme. Gli Atti degli Apostoli (capp. 2, 42-48 e 4, 32-35) presentano l’ideale della vita evangelica incarnato nella vita dei primi cristiani di Gerusalemme. Tutti i cristiani dovrebbero vivere così; sociologicamente però ciò non è possibile. Per questo la comunità religiosa vive questo ideale, in mezzo alla gente, per animare la crescita della carità in tutta la comunità cristiana. Di qui i due pilastri della Regola agostiniana:
a) l’amore deve animare tutti i rapporti interpersonali, sia tra monaco e monaco, sia tra superiore e suddito;
b) la perfetta vita comune è il segno della comunione dei cuori e della povertà evangelica.
La differenza con il concetto di vita consacrata del monachesimo orientale (basata sulla fuga mundi intesa anche in senso geografico e su una severa ascesi penitenziale) è profondissima e costituisce l’originalità della regola agostiniana.

I principi della carità

– E’ l’amore di Dio e dei fratelli a portare i monaci nei monasteri (n. 1).
– Il motivo per cui si sta insieme: avere un progetto comune di vita per cercare insieme Dio (n. 3).
– Poveri e ricchi vivono insieme (nn. 7-8).
– Onorare Dio nel fratello, fatto tempio di Dio stesso (n. 9).
– Amare sempre le persone, odiare i vizi (n. 28).
– Sulle transitorie necessità della vita presente prevalga sempre la carità (n. 31).
– La carità è il criterio del progresso della vita spirituale (n. 31).
– Carità è servire i fratelli con gioia (n. 38) e senza indugio (n. 40).
– La carità fraterna va vissuta con i seguenti criteri:
* non abbiate liti;
* se sorgessero tra voi, terminatele al più presto.
* chi in qualunque modo ha offeso un fratello, deve, allo stesso modo e quanto prima, chiedere scusa;
* l’offeso deve essere pronto ad accettare le scuse e a perdonare;
* se si sono offesi reciprocamente, reciprocamente debbono chiedersi scusa;
* chi non vuol chiedere scusa o non lo fa di cuore, inutilmente sta in monastero, anche se non ne venga espulso.
* il superiore non è tenuto a chiedere scusa ai sudditi, ma a Dio sì.
– Un segno grande di carità è la correzione fraterna (n. 26).
– La carità deve regnare anche nel caso estremo dell’espulsione di un fratello dalla comunità (n. 27).
– La Regola va osservata con amore, come figli sotto la grazia, non come schiavi sotto la legge.

La perfetta vita comune

La perfetta vita comune è allo stesso tempo, per Agostino, segno di amore fraterno e modo concreto di vivere la povertà evangelica. I principi che regolano la vita comune nella Regola sono tre:
a) Tutto deve essere messo in comune; se si ha qualche bene, bisogna cederlo o ai parenti o al monastero.
b) Regali, doni, paghe per lavori, e tutto ciò che a qualunque titolo si riceve da parenti, amici o qualunque altra persona, vanno consegnati al superiore, perché questi li metta in comune o li dia a chi ne abbia bisogno. Chi nasconde o si appropria di qualcosa che gli viene dato da parenti o amici, è come se si appropriasse di cose altrui (è un ladro); se si pente e consegna il tutto, venga perdonato; se invece viene sorpreso con tali regali, deve essere punito “in modo più grave” dal superiore.
c) Segno di povertà è anche che nessuno lavora per se stesso; tutti i lavori devono essere finalizzati alla comunità, e fatti con maggiore alacrità ed impegno che se ciascuno li facesse per se stesso.

La preghiera

Nell’oratorio i monaci debbono attendere alle preghiere nelle ore e nei tempi stabiliti, e il luogo deve essere riservato alla sola preghiera. Era l’Ordo Monasterii a stabilire l’orario e il contenuto della giornata di preghiera del monaco agostiniano.

La pratica penitenziale

Il monachesimo orientale si caratterizza per le estreme penitenze a cui si sottoponevano i monaci (vedi in proposito i Padri del deserto), raggiungendo forme e dimensioni inaudite ed incredibili. Agostino riporta il tutto ad un grande equilibrio, con la motivazione che la scelta della vita religiosa è dettata non dalle opere di mortificazione, ma dall’amore, dalla carità. I monaci debbono domare le passioni (la “carne”) con digiuni ed astinenze dal cibo e dalle bevande, per quanto la salute lo permette. Se a motivo di una malattia o della convalescenza o di una salute delicata uno non può digiunare, per lo meno non deve assumere cibo fuori dell’ora dei pasti, a meno che non sia in atto una malattia concreta, che suggerisca diversamente. La consuetudine del monastero era che, in tempo di digiuno, tutti consumavano la cena; coloro che non potevano digiunare prendevano anche il pranzo; i malati venivano alimentati secondo la necessità individuale.

La premura per i malati

Il malato va seguito con amore nel corso della sua malattia da un fratello infermiere, che non farà mancare nulla di quanto è necessario e utile, su consiglio o decisione del medico, per riacquistare la salute. Se fosse necessario qualche trattamento particolare, per il bene del malato, va fatto anche se il malato non lo volesse. Il malato va seguito anche oltre la fase critica della malattia, durante tutta la convalescenza, fino al totale ripristino della salute. Raggiunto questo, l’ex malato deve adattarsi di nuovo al modo di vivere della comunità, senza privilegi. Ai malati sono equiparati, almeno nel primo periodo di tempo, anche coloro che provengono da classi più agiate o che hanno una salute più delicata: per questi si debbono fare eccezioni nei cibi, nelle vesti, nei lavori, fino a che non si abituano allo stile di vita semplice e povero del resto della comunità. I più forti non debbono essere gelosi del miglior trattamento riservato ai più deboli o delicati, perché – afferma Agostino – è meglio avere meno bisogni che più cose.

Cibi e vestiti

Tutti mangiano ad una stessa mensa comune. Come si nutrono da un’unica dispensa, così debbono vestire da un unico guardaroba. Quanto al dormire, reperti archeologici ci indicano che i monaci avevano celle individuali per dormire. Gli indumenti indossati non devono essere tali da attirare l’attenzione: i monaci non debbono preoccuparsi di attirare l’attenzione con i vestiti, ma con i buoni costumi. Le vesti sono comuni, e i monaci non debbono preoccuparsi se viene loro dato un vestito invece che un altro, o indossato precedentemente da altri, purché a ciascuno venga dato ciò di cui ha bisogno. Se uno ha però difficoltà ad indossare un vestito portato da un altro, deve comunque riporre il suo vestito nel comune guardaroba.

Una vita ordinata. I vari uffici

Vari monaci sono preposti ai vari uffici della casa. Uno o più monaci, secondo l’occorrenza, debbono prendersi cura del guardaroba comune, perché i vestiti non vengano danneggiati dalle tarme, e vengano ben custoditi. Alla lavanderia sono addetti alcuni monaci, che a giudizio del superiore possono farsi aiutare anche da lavandai esterni al monastero. Altri sono preposti alle calzature, che debbono essere distribuite “statim” (subito) su richiesta degli aventi bisogno, secondo le necessità di ciascuno. C’è anche un monaco infermiere, che deve prendersi cura sia dei malati che dei convalescenti, facendosi dare dall’addetto alla dispensa i cibi che ritiene più idonei per i malati. Una cura particolare c’è per la biblioteca. Ogni giorno, “all’ora stabilita” e non fuori orario, debbono essere consegnati i codici per la lettura e lo studio individuale, ed ogni giorno debbono essere restituiti ai bibliotecari (all’ora di Nona, indica l’Ordo Monasterii). Tutti questi ufficiali della casa debbono servire con carità i fratelli: “Gli addetti alla dispensa, al guardaroba e alla biblioteca servano i loro fratelli senza mormorare”.

L’igiene personale e le terme.

Il monachesimo primitivo, soprattutto quello orientale, non è stato molto indulgente con l’igiene personale; la cura del corpo è stata vista con sospetto, perché sembrava in contrasto con la scelta di consacrazione, con il “rinnegamento di se stessi” per il regno dei cieli. La Regola agostiniana in questo campo è molto più mite. Il bagno, soprattutto in caso di infermità, non deve essere negato, anzi, su consiglio del medico, deve essere imposto dal superiore anche a chi non lo vuole. Per quanto riguarda i bagni pubblici, ai tempi di Agostino e nell’antichità romana si attribuiva una grande efficacia terapeutica ai bagni pubblici (o più propriamente “terme”), che si trovavano in tutte le città dell’impero ed erano molto frequentati sia dagli uomini che dalle donne, in edifici separati. Era anche una occasione importante di relazioni sociali. Si ricordi ad esempio a quanto dice Agostino dopo la morte della mamma Monica (“Pensai di andare a prendere anche un bagno, avendo sentito dire che i bagni furono così chiamati perché i greci dicono balanion [βάλλω, getto + ανία, affanno] in quanto espelle l’affanno dall’animo; ma confesso… che dopo il bagno stavo come prima del bagno…(Conf. 9, 12, 32). Per questo Agostino non proibisce i bagni pubblici né ai monaci né alle vergini consacrate (diversamente da come la pensava S. Girolamo), ma li regola in questa maniera. Per gli uomini: “Se c’è bisogno delle cure termali siano senz’altro permesse; non si ammettano critiche e si stia alle prescrizioni del medico. Anche se non lo vuole, il fratello ammalato ceda all’obbedienza facendo quanto è necessario per la salute… Non andate alle cure termali o dovunque dovrete recarvi per necessità in meno di due o tre…”. Per le vergini consacrate invece: “Il lavacro del corpo e l’uso dei bagni (= terme) non sia troppo frequente, ma si conceda al solito intervallo di tempo, ossia una volta al mese”, escluso il caso di malattia (Lett. 211,13), a giudizio del medico. Alle terme bisogna andare non meno di tre alla volta (ib.).

I ragazzi accolti nei monasteri

Secondo la consuetudine del tempo, anche ragazzi e bambini sono ammessi nei monasteri, per essere educati ed istruiti dai monaci. Nella Lettera 209 Agostino parla di un certo Antonio, “educato da noi nel monastero fin dalla tenera età” (Lett. 209, 3; cf. De Genesi ad litteram 12.17.37-38; Lett. 64,3). I ragazzi sono esentati da certi lavori ed uffici non consentanei alla loro età. Per tutti però vale la regola che, quando sono a tavola, finché non si alzano, debbono ascoltare senza chiacchierare quanto secondo la consuetudine viene letto (Regola 4). Altro riferimento ai ragazzi che vivono nel monastero si ha quando Agostino dice che il superiore, anche se ha ecceduto nel riprendere qualcuno di loro, non è tenuto a chiedergli perdono, per ché la sua autorità non venga intaccata; però deve prostrasi umilmente davanti a Dio, che sa con quanto amore si preoccupa della persona che forse ha ripreso in modo eccessivamente duro.

La clausura e le uscite dal monastero

La clausura come la si intende oggi non esisteva né per gli uomini né per le donne. Le regole per chi deve uscire dal monastero sono le seguenti:
i monaci debbono uscire soltanto con il permesso del superiore, e con il o i compagni che vengono indicati dal superiore;
debbono rimanere insieme lungo il cammino;
debbono stare insieme una volta raggiunta la meta.
I monaci non chierici uscivano o per vendere i prodotti del monastero, o per acquistare quanto necessario; oppure per svolgere qualche incombenza necessaria per il monastero stesso.

L’espulsione dal monastero

L’espulsione dal monastero, come ultima ratio per chi non intende correggersi, è contemplata nei seguenti casi:
– in caso di atteggiamento scandaloso riguardo alla castità;
– negli altri casi gravi.
Il procedimento – che segue quello indicato nel vangelo (Mt 18, 15-17) – prevede tre fasi:
1. L’ammonizione segreta e personale, da parte di chi ha constatato l’inadempienza.
2. Il deferimento del caso al superiore, che deve tentare una correzione segreta.
3. In caso di ricaduta, l’ammonizione del superiore va fatta alla presenza di tutti, con la testimonianza di due o più persone. Se il colpevole confessa, il superiore deve comminargli una pena adeguata.
4. Se il colpevole invece si ostina a non confessare, “sia cacciato dalla vostra compagnia”.
Tale sistema – afferma Agostino – non è crudeltà, ma un gesto di misericordia verso l’intera comunità, perché venga estirpato dalla comunità un male contagioso, che può far perdere altri. Tutto questo comunque va fatto con amore agli uomini e odio ai vizi.

Introduzione alla Regola

Testo della Regola