I Vescovi di Roma

I vescovi di Roma e Sant’Agostino

Tra i vescovi di Roma e il vescovo d’Ippona Agostino si ebbe, lui vivente, un rapporto continuativo per le tante questioni che quotidianamente legavano la Chiesa africana a quella romana, la “Chiesa principale” del mondo latino. In genere i rapporti dei vescovi della Chiesa romana erano con il primate della Chiesa africana, il vescovo di Cartagine, tuttavia assieme a lui vi troviamo coinvolto spesso anche il vescovo d’Ippona Agostino, forse per la grande amicizia che lo legava al primate di Cartagine Aurelio, forse anche per la grande stima di cui lui godeva in Africa come altrove.

Dei suoi rapporti con i vescovi di Roma possediamo un epistolario non indifferente, in particolare per la questione pelagiana. Agostino d’altra parte, predicando o scrivendo, lo faceva sempre nella coscienza di trasmettere la fede contenuta nelle sacre Scritture, quale era veicolata dalla fede cattolica e dalla Chiesa di Roma.

Quanto alla sua fede trinitaria affermò per esempio: «La mia fede è quella della fede cattolica » (La trinità 1, 4,7) e, riguardo al peccato originale, disse perentoriamente: «con noi è la fede stessa della Chiesa di Roma (fides ipsa nobiscum Romanae Ecclesiae, Ep. 194,1). Relativamente alla Chiesa cattolica, quale suo punto di riferimento base nel pensare, scrivere e agire, ci tenne a precisare: « sono forse io la Cattolica?..A me basta di essere in essa » (En. ps. 36, 3,19).

Sul suo pensiero tuttavia, già lui vivente, iniziò una discussione tra lui e i monaci delle Gallie sulla necessità della grazia per l’inizio della fede, la fede vissuta e il conseguimento della vita eterna, che, dopo la sua morte, salì molto di tono, sino ad accusare gli scritti di Agostino di fatalismo, di negazione della libertà dell’uomo, di pensare Dio quale autore del male che è nel mondo.

Intervennero a difenderlo oltre ai suoi discepoli, come Prospero di Aquitania, Fulgenzo di Ruspe e altri, gli stessi vescovi di Roma. I loro interventi furono di duplice portata: uno, di ordine generale: « Agostino è tra i sommi maestri che godono autorità nella Chiesa cattolica, al di là delle difficili questioni che si possono dibattere riguardo ai suoi scritti », come sancì papa Coelestino I in una lettera inviata all’episcopato delle Gallie (Ep. 21); un altro, di applicazione a questioni concrete, e praticamente a due: alla questione antropologica, sul rapporto della grazia di Dio con il libero arbitrio, in cui il reciproco co-agire non consente a nessuna delle due componenti di sentirsi lesa, questione evolutasi poi in quella della doppia predestinazione; alla questione cristologica postcalcedonese che, nella controversia monotelita, ebbe una particolare rilevanza.

Riportiamo più per esteso l’intervento di papa Celestino I del 431, che divenne la normativa di fatto dei suoi successori sulla cattedra di Pietro riguardo a S. Agostino. Egli si espresse al riguardo:
«Abbiamo sempre avuto Agostino nella nostra comunione. Nei suoi riguardi non vi fu da parte nostra mai un rumore sospetto. Che anzi un uomo di così grande scienza lo ricordiamo, come i nostri predecessori, tra i nostri ottimi maestri » (Ep. 21; PL 50,528-537; alla col.530A, c.2,3 l’elogio di Agostino).

Papa Celestino aveva ricevuto corrispondenza da Agostino quando era ancora diacono (Ep. 192) e, da vescovo di Roma, ricevette l’Ep. 209 di congratulazione per la sua pacifica elezione a papa. Riferendosi ai suoi predecessori Celestino alludeva alle lettere di Innocenzo I al concilio di Cartagine (Ep. 181) e di Milevi (Ep. 182) sulla condanna dell’eresia pelagiana, e forse alle lettere 183-184 in cui solidarizza con Agostino e amici (Alipio, Aurelio, Evodio, Possidio.

L’autorità di Agostino divenne un dato normale nell’Occidente cristiano, e quindi non più soggetta a discussione, dalla fine del secolo V° in poi con Papa Gelasio (492-496), che considerò Agostino, unitamente a Girolamo, quali guide luce dei maestri ecclesiastici: « al cospetto e alla presenza dei vescovi di beata memoria, Girolamo e Agostino, lumi dei maestri ecclesiastici (Hieronymum atque Augustinum ecclesiasticorum lumina magistrorum) » (Ep. 7; PL 59,40 B-C).

A ciò contribuì anche l’inserimento dell’opera di Agostino nel Decretum Gelasianum, una compilazione romana degli inizi del sec.VI, divenuta normativa nella Chiesa latina. In esso venne determinato quali libri venivano accettati come autorità nella Chiesa romana. Dopo quelli del canone biblico vennero indicati gli scritti di Padri della Chiesa, tra i quali Agostino: « Dopo questi libri canonici…che la chiesa cattolica dal sorgere del sole al suo tramonto copia scrivendo, legge e accoglie, abbiamo..anche gli innumerevoli scritti del beato Agostino vescovo d’Ippona (II,100-110; in Dobschütz TU 38/4, p.69).

Dopo il Decreto Gelasiano, si ebbero le testimonianze del papa Ormisda a Possessore vescovo degli Africani (il 13 agosto del 520, Ep.70,5; PL 63,493), di Bonifacio II che, nell’ Ep. 1 (al vescovo Cesareo di Arles; PL 65,31-32) del 531, si richiamò ufficialmente ai “molti padri” e soprattutto (era l’affermazione che interessava) alla beata memoria del vescovo Agostino (prae ceteris beatae recordationis Augustinus episcopus), contro ogni insinuazione nei suoi riguardi, portata avanti da alcuni nel nome di Girolamo al concilio di Oranges del 523. Da allora si cominciarono a scrivere opuscoli che trattavano delle guide (luminaria) sicure per l’ortodossia, o si compilavano liste delle autorità dottrinali riconosciute nella Chiesa, come “I 12 dottori” di Beda (673-735), trasmesso attraverso lo PseudoGirolamo (De XII doctoribus ad Desiderium. Jam sub nomine Bedae, De luminaribus Ecclesiae; PL 23,763-768). Il prologo pone sulla bocca di Desiderio la volontà di conoscere quei dottori che, a guisa di lucernari illuminano il firmamento delle oscurità. Agostino è il primo della lista e di lui si dice, utilizzando immagini metaforiche non prive di enfasi:
«Il vescovo Agostino, volando a guisa di aquila sulle cime dei monti e non badando a ciò che succede alle loro radici, espone con un discorso chiaro molte cose relative agli spazi celesti, ai luoghi della terra, al defluire delle acque».

Un’altra bella testimonianza pro Agostino si ebbe dal papa Martino I (649-655) in relazione alla cristologia postcalcedonese. Essa è la più esplicita circa la consanguineità della fede cristologica della Chiesa romana con quella africana, resa possibile –scrisse il papa- da una medesima paternità, quella di Agostino. Egli afferma che lo Spirito santo aveva dato forma agli stessi caratteri della confessione della Chiesa di Roma tramite il dottore degli africani, Agostino. Si espresse così:
«Meritatamente vi abbracciamo con cuore sincero. Voi infatti, inviando a questa sede apostolica le vostre lettere sinodali, ci avete manifestato in modo sommo i caratteri della vostra confessione come fiaccole di luce perenne. In noi essi li ha formati lo Spirito Santo per mezzo del dottore della Chiesa cattolica, cioè il glorioso Agostino. E, per mezzo di essi, abbiamo per certo che voi seguite le orme paterne e che nelle vostre piissime dottrine fate conoscere ed esprimete la dignità universale del vostro dottore» (Mansi X,798-799; PL 87,119-121).

La testimonianza di Martino I andò ben oltre la pura difesa dell’ortodossia di Agostino, messa in atto prima dai suoi predecessori nelle questioni riguardanti la grazia di Dio e il libero arbitrio, e ora da lui invocata nella questione cristologica. Il papa Martino I inviò, dopo il Concilio lateranense, lettere per l’approvazione delle decisioni conciliari romane. Tra esse ne inviò una anche alla Chiesa Cartaginese, per il momento vacante, appellandosi ad Agostino quale dottore della Chiesa Cartaginese.

La Chiesa romana sentì Agostino come il suo “dottore”, tanto che si può legittimanente parlare di una coscienza, oseremmo dire “agostiniana”, della Chiesa di Roma; così come, viceversa, dal canto suo Agostino aveva pensato della sua fede. La Chiesa di Roma fece riferimento ad Agostino dopo la sua morte (30 agosto 430) quale sua autorità magisteriale, in triplice modo: considerandolo il suo abituale maestro il “doctor” come tale, su questioni specifiche, e in rapporto al suo ministero magisteriale.
1. In genere, il vescovo d’Ippona era da considerarsi per la Chiesa romana nel suo insieme un “doctor” cattolico, al di là di difficili questioni discusse da lui e da altri.
2. In particolare, l’autorità dell’Ipponate venne considerata cattolica riguardo alla sua spiegazione della grazia di Dio e del libero arbitrio. Per tale motivo Agostino non poteva considerarsi, come si volle insinuare da qualche parte, né l’autore diretto né in qualche modo il padre dell’eresia predestinazionista.
3. Quanto al rapporto di Agostino con il ministero magisteriale della Chiesa di Roma abbiamo l’intervento del papa Martino a metà del secolo VII. Egli affermò, rivolgendosi al vescovo di Cartagine, che i lineamenti della confessione della fede cristiana della Chiesa cartaginese e di quella di Roma erano comuni, avendo in comune il padre Agostino. Infatti nella Chiesa romana tali caratteri vengono formati in essa dallo Spirito Santo tramite Agostino.

In seguito l’agostinismo accademico del 1300 fece coincidere la tradizione cattolica con quella del vescovo d’Ippona, il doctor catholicus per eccellenza, in quanto interprete autoritativo dell’apostolo Paolo.

Dalla Riforma all’evo moderno si ebbe il duro impatto di Agostino, dottore della Chiesa, con le letture del suo pensiero fatte da Lutero, Baio e Giansenio. Di tale polemica risentì anche la famosa edizione maurina degli scritti di Agostino. Lo stesso agostinismo degli Augustinenses, cioè dell’Ordine di S.Agostino, dovette aspettare il concilio Vaticano II per riportare il vescovo d’Ippona a circolare senza sospetti nell’ambito della Chiesa cattolica di cui lui era stato uno dei grandi vescovi del secolo V.

La ricerca teologica postconciliare del Vaticano II si nutre infatti più da vicino dell’eredità di S.Agostino, incoraggiata dalla stessa Sede romana. Di questa nuova positiva fase di trasmissione del pensiero di S.Agostino, ha potuto dire Giovanni Paolo II nella nella prefazione della sua Lettera apostolica Augustinum Hipponensem, scritta in occasione del XVI centenario della conversione del vescovo d’Ipona (386-1986): « Agostino di Ippona, da quando appena un anno dopo la morte, fu annoverato dal mio lontano predecessore Celestino I, tra i “maestri migliori della Chiesa”, ha continuato ad essere presente, nella vita della Chiesa e nella mente e nella cultura di tutto l’Occidente…Io stesso ho aggiunto la mia voce a quella dei miei predecessori esprimendo il vivo desiderio che la sua dottrina…sia studiata e diffusa, percché egli continui…il suo magistero nella Chiesa, un magistero, umile insieme e luminoso che parla soprattutto di Cristo e dell’amore ».

p. Vittorino Grossi OSA, 19/04/2007